Architettura e Monumento, tra Italia e Ticino. Insegnamento, dialogo, progetto

Seminario a cura di Orietta Lanzarini
25 giugno 2018
Università degli Studi Roma Tre
Via Madonna dei Monti, aula Urbano VIII, ore 14:00
Seminario promosso da: Archivio del Moderno, Accademia di architettura – USI
in collaborazione con l'Università degli Studi Roma Tre - Dipartimento di architettura

Nell’ambito del progetto di ricerca triennale “L’architettura nel Cantone Ticino, 1945-1980”, finanziato dal FNS – Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica e diretto da Nicola Navone, il 25 giugno si è tenuto un seminario dedicato al tema della monumentalità in architettura, sullo sfondo dei rapporti tra Ticino e Italia, a cura di Orietta Lanzarini, ricercatrice senior FNS all’Archivio del Moderno dell’Accademia di architettura, Università della Svizzera italiana. L’iniziativa si inserisce nel programma didattico del Dottorato “Architettura. Innovazione e patrimonio” dell’Università degli Studi Roma Tre, XXXIII ciclo.

Architettura e monumento è un binomio che può assumere innumerevoli declinazioni. Fin dagli esordi, Bruno Bossi, Augusto Jäggli e soprattutto Rino Tami hanno dato del tema un’interpretazione peculiare, avviando un’indagine destinata ad attraversare l’intera ricerca architettonica del Cantone Ticino. A partire dalle esperienze formative vissute a Roma dai tre giovani ticinesi, stimolati dalla comune ammirazione per l’opera piacentiniana, il seminario indaga l’origine del loro interesse per la monumentalità, per poi analizzarne l’influenza sui progetti messi a punto dagli architetti al rientro in Ticino. Un affondo sulle figure di Piacentini, di Libera, e più in generale sul rapporto tra architettura e monumento durante il ventennio, consente di inserire l’esperienza ticinese in un quadro più ampio di relazioni, necessario per gettare le basi dei futuri studi sull’argomento.

Orietta Lanzarini - Un ticinese a Roma (anzi tre). Le esperienze di Bruno Bossi, Augusto Jäggli e Rino Tami

Tra gli anni Venti e Trenta del Novecento tre giovani ticinesi – Bruno Bossi, Rino Tami e Augusto Jäggli – destinati a dare, nei decenni seguenti, un contributo significativo alla ricerca architettonica del Cantone Ticino si trovano a Roma. Bossi e Tami studiano alla Regia Scuola di Architettura, mentre Jäggli si impiega presso lo studio dell’architetto più influente dell’epoca, Marcello Piacentini. Nonostante affrontino la professione con modalità differenti, i tre architetti condividono un chiaro interesse per il tema della monumentalità, come dimostrano alcuni progetti di edifici pubblici e privati. È possibile che l’esperienza romana compiuta negli anni giovanili abbia influenzato questo ed altri aspetti della loro indagine progettuale? Attraverso documenti e disegni inediti, la relazione si propone di indagare innanzitutto le esperienze dei tre ticinesi a Roma, per poi allargare lo sguardo sul tema più generale della monumentalità e sul suo rapporto con l’architettura razionalista, che diventerà motivo di ricerca nell’architettura ticinese, specialmente di Rino Tami.

Riccardo Bergossi - Attrazione latina: suggestioni monumentali nell’architettura degli anni '30 e '40 nel Cantone Ticino

Nel corso degli anni Venti per gli architetti ticinesi viene meno la tradizionale formazione milanese, sostituita dall’offerta delle scuole della Svizzera nord alpina, il Politecnico federale di Zurigo in particolare. Nel decennio successivo si manifesta tuttavia tra i progettisti della regione un vivace interesse per la produzione delle personalità preminenti nel panorama architettonico italiano. Esso si concretizza con una breve fioritura del linguaggio Novecento milanese, cui segue una episodica produzione improntata ai lavori di Marcello Piacentini. Gli effetti della crisi economica della fine degli anni Venti trovano la società ticinese già prostrata dagli effetti della Grande guerra, e le ridotte realizzazioni del periodo sono per lo più circoscritte al settore residenziale, soprattutto borghese e unifamiliare, refrattario a sperimentazioni linguistiche. Le suggestioni italiane trovano espressione soprattutto nei progetti di concorso per opere pubbliche che si susseguono negli anni Trenta e che vedono la simultanea presenza in giuria di cattedratici italiani e svizzeri. In alcune competizioni prevalgono progetti di chiara matrice italiana e monumentale. Tali esiti non denotano però un’adesione sostanziale di progettisti locali al linguaggio che sta affermandosi nella penisola sotto l’egida del regime, ma soltanto un interesse formale. Come tali non sono destinati a giungere a compiuta realizzazione, con l’eccezione della parziale ricostruzione dell’antico quartiere di Sassello a Lugano. L’avvicinarsi della Seconda guerra mondiale porta gli architetti della regione a cercare di distillare nelle testimonianze del passato delle valli alpine un linguaggio che rappresenti l’identità ticinese.

Marida Talamona - L’architettura di Adalberto Libera tra razionalismo e astrazione monumentale (1928-1942).

La conferenza prende in esame la “vocazione monumentale“ dell’architettura razionale italiana espressa sin dagli esordi, alla fine degli anni Venti. Una vocazione messa in luce già nel 1933 da Edoardo Persico e analizzata poi da Ezio Bonfanti in un denso saggio intitolato Città e Monumento (1972) nel quale il critico vede nelle ricerche degli architetti razionalisti italiani  un’anticipazione di quanto sarà rivendicato nel famoso manifesto Nine Points on Monumentality, firmato nel 1943 da Josè Louis Sert, Fernand Léger e Sigfried Giedion.
Negli anni Trenta, a Roma, Adalberto Libera e Luigi Moretti sono gli interpreti più originali di questa  ricerca di astrazione monumentale, legata allo studio delle architetture antiche e all’uso del cemento armato, l’unico materiale per Libera “suscettibile di raggiungere una monumentalità classica” associandola  all’estetica del razionalismo.

Paolo Nicoloso - La monumentalità nell’opera di Piacentini

Il tema della monumentalità nell’architettura di Piacentini è affrontato attraverso la ricostruzione storica di alcune vicende significative, all’interno di un arco di tempo definito dalla Città universitaria (1932-1935) e l’E42 (1937-1943).
La Città universitaria è un frammento di città rappresentativa, costruita attorno a una piazza dall’impianto basilicale, che riprende la “grandezza” e la “nascosta potenza” delle grandi composizioni romane.
Durante la costruzione della Città universitaria ha luogo la polemica con Ojetti sulla monumentalità fatta da archi e da colonne, polemica che rimanda al Palazzo di giustizia di Milano e al concorso per la Stazione di Firenze, che vede Piacentini in giuria.
L’architetto è pure in giuria nel concorso per il Palazzo del Littorio, episodio interessante perché vede in questo caso Piacentini schierato a difesa di una visione moderna della ”monumentalità”.
Il tema della monumentalità è al centro anche del progetto per l’edificio alto in piazza Diaz a Milano, che in ultima analisi si trasforma nella progettazione del fronte sud di piazza Duomo.
Infine la vicenda dell’E42, la città monumentale per eccellenza, che vuole lasciare il segno duraturo dell’architettura del tempo fascista.